La storia della Città di Crema
tratto dalla sezione storica del SITO DEL COMUNE DI CREMA
a cura del Servizio Attività culturali e turistiche |
Il popolamento della zona si può far risalire al quarto millennio a.C., come dimostrano i ritrovamenti di alcuni esemplari di fauna (Bisonte antico, cervidi) e di manufatti in buona parte conservati nel Museo civico di Crema (frammenti di pietra lavorata, punte di frecce, asce in pietra).
Non per questo venne meno l’interesse per le attività agricole, che rimasero il fondamento dell’economia cremasca. Furono anzi incrementate in seguito alla ricerca di nuovi terreni da dissodare e mettere a coltura grazie al diradamento delle fitte boscaglie che da secoli circondavano Crema, all’introduzione di miglioramenti nella tecnica agricola e della coltivazione intensiva, alla realizzazione di interventi di canalizzazione delle rogge e dei fontanili che migliorarono e resero talmente capillare il sistema irriguo da coprire quasi il 90% del territorio cremasco. Decaduta la funzione sociale ed economica del castello feudale, il fenomeno dell’inurbamento non portò allo spopolamento delle campagne, dove si assistette invece al sorgere di piccoli borghi costituiti da case sparse abitate da quanti erano impegnati nella coltivazione delle terre.
Ciò non impedì alla città di proseguire nel proprio processo evolutivo, basato essenzialmente su una mentalità imprenditoriale e commerciale destinata a improntare di sé tutta l’economia cremasca, mentre l’assetto architettonico e l’impianto urbano prendevano quei connotati che sarebbero poi stati fissati definitivamente con l’erezione delle cosiddette mura venete. In tale prospettiva la conclusione della rifabbrica del Duomo (1341) fu solo il momento più rappresentativo di un fervore costruttivo che interessò principalmente la sfera religiosa (chiese di San Marino, Santa Elisabetta, San Pietro Martire, San Michele e relativi conventi francescani e domenicani). In campo civile si ricordano l’istituzione della Domus Dei (il futuro Ospedale Maggiore) nel 1351 e la costruzione del castello di Porta Ombriano nel 1370 per volontà di Bernabò Visconti.
La peste del 1361 e San Pantaleone Nel 1361 la città venne funestata dalla peste. Racconta Pietro Terni nella sua Storia di Crema: “Crema a tale estremo era ridotta che più non si trovava chi, nel disperato caso, degli infermi cura togliesse: tutti infettati erano, né l’uno all’altro poteva dar soccorso.” Fu in tale circostanza che i cremaschi cominciarono a venerare con particolare devozione la figura di San Pantaleone. Narra ancora il Terni: “Il glorioso Redentore, volendo i miracoli del Santo al mondo manifestare, la mente aperse ai poveri ammalati perché ricorrere dovessero a San Pantaleone. Uniti insieme alcuni di loro il meglio che poterono, fecero voto al glorioso Santo di alcune annuali oblazioni e lo tolsero per patrono, che prima avevano Sant’Antonio, San Sebastiano e San Vittoriano. Fatto il voto, subito, nel decimo giorno di giugno, rimase la terra talmente dalla malvagia sorte liberata, che pare che dal vento fosse lo contagio levato. Dicesi che il Santo protettore fu veduto in aere sopra la terra con la mano distesa, come nel suggello maggiore la Comunità scolpito mostra; havuta la grazia, ordinarono le processioni annuali nel giorno della liberazione, che fu ai dieci di giugno, di tutte le arti ed huomini di Crema e del territorio, come fino ai giorni nostri si costuma.” Dal che si comprende perché la festa patronale di Crema ricorra il 10 giugno, mentre nel calendario ecclesiastico San Pantaleone è ricordato il 27 luglio, giorno della sua morte nel 305 a Nicomedia di Bitinia (oggi Izmit, in Turchia) nel corso della persecuzione voluta da Diocleziano al principio del IV secolo. |
L’arrivo di Venezia significò per Crema un deciso cambiamento. La condizione di territorio ai confini dei domini veneziani di terraferma le ottenne un trattamento privilegiato soprattutto dal punto di vista degli scambi commerciali e con un grado di autonomia amministrativa senza dubbio superiore a quello goduto dalle vicine città dello stato di Milano; si poterono perciò ripristinare statuti e ordinamenti comunali, sia pure con un governo aristocratico e sotto il controllo di un podestà nominato in laguna. Venezia inoltre riconobbe immediatamente a Crema la dignità di “città” e interpose i suoi buoni uffici perché in ambito ecclesiastico le fosse concessa l’istituzione di una diocesi autonoma (aspirazione che si sarebbe concretizzata soltanto nel 1580).La dominazione veneta non si limitò però a intervenire sugli aspetti politici e amministrativi, ma influenzò un po’ tutto lo stile di vita dei cremaschi, che venne connotato da una diffusa tendenza alla nobilitazione aristocratica. Il che, per la piccola nobiltà e la ricca borghesia della città istintivamente aduse alla micragnosità provinciale, non significò solo mero esercizio del potere, possibilità di carriera e acquisizione di commesse o laute prebende, ma volle anche dire adeguamento del tenore di vita alla propria posizione sociale, pratica della munificenza e della liberalità, promozione della cultura e delle arti, ricerca della raffinatezza, cura di un decoro esteriore confacente a un’intima nobiltà d’animo.
Il dominio veneto risparmiò a Crema la miseria e la decadenza economica del vicino ducato di Milano occupato dagli spagnoli, di cui il Manzoni ci ha lasciato una vivida e indimenticabile descrizione nei Promessi sposi. Anche se in difficoltà nei suoi possedimenti orientali (battaglia di Lepanto del 1571) e già soggetta ai primi segni di declino dopo lo spostamento delle principali rotte commerciali dal Mediterraneo all’Atlantico, Venezia godeva ancora di una notevole ricchezza e la riverberava, insieme con un immobilismo politico un po’ miope, sui propri territori, dove Crema continuò a svolgere il ruolo di importante centro agricolo e di punto di riferimento per gli scambi commerciali.
L’istituzione di un’Accademia di agricoltura (1769) fu la concreta testimonianza della diffusione anche a Crema della cultura illuminista e dell’interesse per il progresso delle scienze applicate. Fiorirono come sempre gli scambi commerciali (Fiera di San Michele) e si provvide a un generale riattamento delle strade cittadine, sorsero le fabbriche di campane (Crespi) e nacque l’arte organaria, che da allora ebbe una lunga e prestigiosa tradizione coltivata fino ai giorni nostri.
Il successivo trentennio di dominio austriaco si rivelò sostanzialmente positivo: pur senza gli antichi privilegi, per Crema fu un periodo di benessere e di tranquillità nel corso del quale venne promossa soprattutto l’agricoltura, con la diffusione della stabulazione del bestiame, l’incremento delle produzioni lattiero-casearie, l’introduzione dell’allevamento del baco da seta, la coltivazione e la tessitura del lino.
Altre opere di particolare rilievo furono il restauro della facciata del Duomo (1913-16), il collaudo dell’acquedotto pubblico (1917) e, dopo la I guerra mondiale cui anche Crema pagò il proprio tributo di uomini, la creazione del Civico istituto musicale Luigi Falcioni (1919), l’inaugurazione del velodromo (1922), l’illuminazione elettrica in sostituzione dei fanali a gas (1930), la costruzione della rete fognaria (1933) e l’abbassamento di 30 centimetri del livello di calpestio di piazza Duomo (1936-37).Il tribunale, istituito nel 1862, venne soppresso nel 1923 e di nuovo ricostituito nel 1948, mentre il comune di Crema allargava confini territoriali e giurisdizione amministrativa inglobando i precedenti comuni autonomi di Ombriano, Santa Maria della Croce e San Bernardino (1928).